«L'arte contemporanea non ha più regole. (...) Ciò non toglie che, nello sconcerto avvilente della vita artistica e culturale, vi siano artisti che amano, come sempre, la libertà e rispettano la regola fondamentale della comunicazione. Cioè la capacità di essere intesi dai legittimi fruitori e di offrire l'educazione al buono, al bello, all'onesto. È tra questi Concetta Cormio, poetessa che fa pittura, pittrice che fa poesia. In lei sono semplicità, linearità, colore, emozione e il suo giardino che rispetta le stagioni.»Leggi la critica completa



Critiche e Rassegna stampa

Manlio Cancogni

Concetta Maria Cormio vive a Milano, ma è particolarmente attratta dal paesaggio della Toscana, la Maremma, il Padule di Bientina. Dipinge colline, casolari, ma anche volti di Santi e Madonne con una particolare esaltazione della luce. Concetta Maria Cormio è una bravissima pittrice.


Manlio Cancogni

Carlo Franza

L'artista milanese Maria Concetta Cormio è attiva da anni nel panorama artistico italiano, senza mai rincorrere avanguardie e trovate del momento. Ha semmai insistito sempre all'interno della grande linea figurale che ha trovato sviluppi diversi, dal Realismo esistenziale alla Nuova Figurazione, fino alle propaggini di un neoromanticismo contemporaneo capace di smuovere animi e soprattutto di ridare voce a un passato attuale.

Ecco raccontarci a colori temi cortesi, di esprimere segnali di bellezza al femminile, attraverso ritratti di peso e maniera, di argomentare sogni carichi di simboli, e di dare specchio alla natura e ai paesaggi d'Italia con occhio tutto francescano. La Cormio è magistrale nel raccontare e descrivere a colori i ricordi, stati di intimità raccolti in quelle tonalità fra i rosa e i giallo aranciati che danno volto allargato alla sua tavolozza.

Disegnatrice rigorosa, eccellente colorista, poetessa capace di leggere il paesaggio come pochi e di trasfigurarlo e darne poi attraverso un gioco di luci sublimi quella pace e quella serenità, oggi preziosa merce fra i pittori che non ricercano più la vera bellezza, il patrimonio e la perla vera del cuore'.

'Con una sensibilità semplice e matura, eppure forte e francescana, unita a una cultura carica di umori laici e spirituali, l'artista milanese Concetta Maria Cormio vive da anni il suo percorso pittorico nel panorama artistico italiano con vivaci accensioni e motivazione che lasciano subito leggere il nocciolo di fondo di un'artista tutta tesa all'educare. E in una possibile storia del paesaggio pittorico italiano c'è un posto aureo anche per lei accanto ai nomi che ormai tutti conoscono, da Domenico Purificato a Vicenzo Ciardo.

La Cormio spolvera scenograficamente coline e pianure, case coloniche e rustici casali, e fazzoletti di terra con alberi talvolta solitari, vere sentinelle nel silenzioso panorama che li avvolge. Tutto scavato con un colore tirato a lucido, fra ricami di verde, aranciati fogliami, cieli azzurrati, esemplari iconici di un neoromanticismo contemporaneo che a più riprese e in più parti del mondo, dagli Stati Uniti all'Italia, fuoriesce avvolgendo l'intera poetica di molti artisti contemporanei. Ella si misura su temi classici della neofigurazione, anche se innervati al contemporaneo, cioè da immagini di volti femminili monocromatici fino ai silenziosi paesaggi alla David Hockney.

Pittrice da una parte meditativa e francescana quando racconta con colori pastellati ricordi e stati d'animo, dall'altra febbrile e ardimentosa se la tavolozza si copre di squillanti tonalità. Ma il suo dipingere si nutre, e viceversa, di quel sentire che trasuda dal suo essere anche poetessa, di parlare col cuore, di simboleggiare anche scene alla Pascoli, memorie e filosofie di stagioni, insaziabili richiami alla bellezza, e fissare a colori un nuovo cantico delle creature'


Carlo Franza

Raffaello Bertoli

Nelle sue figurazioni ci sono sempre sogno, incantamento, astrazione. Concetta Maria Cormio è nata a Milano da madre toscana e padre pugliese. Vive e lavora a Milano. Ha casa a Torre del Lago che fu ritiro operoso di Giacomo Puccini ed è particolarmente attratta dal paesaggio toscano: la Versilia, la Maremma, le bianche colline lungo la via Emilia, le vigne e gli oliveti di Montecarlo, il padule di Bientina, gli scenari delle Apuane.

Fa Santi, Madonne, S. Chiara, S. Francesco, contadini toscani, popolani milanesi, fan­ciulle di Versilia.

In tutto, su tutto - volti e paesaggi - l'esaltazione della luce, l'attenzione a ciò che sta dentro ogni cosa.

Il Primitivismo, anche quello moderno, è semplicità, interiorità.

Concetta Maria Cormio attinge all'arte del Duecento e del Trecento, a Cimabue, a Duccio, a Giotto.

Del Novecento sente l'Espressionismo, più specificatamente il Chiarismo Lombardo. Semplicità, luminosità e chiarezza sono le componenti fondamentali della pittura di Concetta Maria Cormio.

Astrazione e incantamento nascono spontaneamente; sono accovacciati sul fondo dell'ispirazione.

Ciò che si vede nel volto dei santi si vede nei paesaggi. È la stessa luce che illumi­na il tutto e in tutto si irradia.

Aggiungo che nei suoi versi ci sono le medesime componenti essenziali, per cui l'o­perare di questa limpida artista risulta un insieme omogeneo.


Raffaello Bertoli

Tommaso Paloscia

Le colline rotonde che emergono come mammelle virginali sull'orizzonte lontano a circoscrivere la surreale inondazione lattiginosa che, caligine non ancora dissolta dal sole, imprigiona i campi quasi ingoiando il casolare: un abi­tato tutto racchiuso in difesa del suo campanile. È una inondazione di luce che consente al cielo semitrasparente nella nuvolaglia sottile e leggera, di spec­chiarsi in quel mare di silenzio e di luce solidificata. Immensa lastra di marmo leggermente venato come se ne trova nelle cave di Carrara. E l'immagine sem­bra emergere per magica sollecitazione da quella veduta panoramica del lago di Massaciuccoli dipinta l'anno avanti dalla fantasia e dall'estro di Concetta Maria Cormio, esattamente nel 2001. E se la giornata avanza, nella stagione bella, e quella coltre sparisce d'incanto mettendo a nudo le bellezze della natura che capricciosamente aveva catturate e sottratte alla vista, la campagna toscana balza alla ribalta con l'invadenza intrigante dei pini marittimi e dei cipressi che sono i motivi ornamentali di questa terra assai ricca di suggestioni. E anche quando l'attenzione della bravissima pittrice s'incentra su un solo lembo di paesaggio, isolato non dallo sguardo ma dal sentimento, in quella distesa di meraviglie, anche un albero solitario riesce a cantare la sua poesia. Che è in realtà la poesia covata dentro l'anima di lei; una poesia che, in parallelo con la pittura, canta in versi colmi di nostalgia i punti passati in rassegna fra la Versilia e la Maremma. Sempre col cuore che sopravanza l'occhio nella missione esplo­rativa fra le immagini archiviate nella coscienza.

Concetta Cormio, tuttavia, non è nata in questa regione che pur predilige nel rap­presentarne il paesaggio. È milanese, da padre pugliese ma da madre toscana, questa sì.

Ed è forse qui la scaturigine della predisposizione a leggere con amore gli incan­tamenti di una campagna rigogliosa e gentile, i suoi campi verdissimi o inondati di oro dai girasoli che in primissimo piano offrono le foglie e le bellissime corolle alla lettura poetica di chissà quali messaggi accoratamente interpretati dalla creatività pittorica della Cormio.

Recita una delle sue tante poesie:
Che bel posto: /ci sto bene./ La terra è intepidita dal sole/ Gli alberi, mossi dal vento,/ fanno ombra./ Qualche nuvola bianca/ e una pace profonda./Ancora un po',/poi torno al mondo./ Caro, vecchio mondo/Venite temporali,/portatemi sulla sponda/ della vita, la solita,/ oltre l'oasi intepidita dal sole.
Ma domani ci sarà un altro bel posto a rallegrare la vita e che già questa sera si sogna tra il lusco e il brusco. E lo si invoca. 'Non spegnere nell'anima/la luce della sera'; dice la poetessa. E la pittrice annota.


Tommaso Paloscia

Giorgio Falossi

Una pittura figurativa, ma unica, personale, frutto di studi e di sensibilità che si ritrovano in Maria Concetta Cormio. Il colore ha la consistenza del metallo smaltato contenuto in un solido disegno e le zone nettamente delimitate dalla luce fissano le immagini al loro solido posto. Un fremito spinto dall’armonia vive nei paesaggi scelti con cura con l’apporto non solo visivo ma anche di una propria inventiva, attenta alla gestualità, alla proporzione e alla prospettiva, nonostante il prevalere della sapiente distribuzione della luce che porta l’opera ad una tendenza espressionista. Così il rosso infuoca tramonti e lagune, mentre il bianco si insinua nelle vallate e nei panneggi rendendo memoriale la visione, intrisa di uno struggente ma fiero, malinconico stupore. L’artista che, oltre che dipingere, scrive poesia, opera con forte creatività per dirigere, con amabile regia, il rifluire delle sensazioni per far scaturire un lavoro visivo composto di armonie cromatiche. L’artista non ha fatto altro che scegliere certe intimità che ha considerato bellezze, un mondo che sente ancora presente come casa comune per le passioni e le speranze umane. Ed un bruciante desiderio di pace. Un tema pittorico riguarda l’uomo e la sua coscienza, riguarda la natura ed il territorio. Rispecchia l’atmosfera dei tempi che fa sognare l’armonia della natura contro lo stress del quotidiano, riguarda anche il nutrimento dello spirito in un’epoca in cui l’Occidente ha la crisi dei suoi valori cristiani. Riguarda ancora l’uomo che è andato oltre lo sfruttamento in nome del guadagno e nell’insieme l’opera di Maria Concetta Cormio si può porre tra l’ansietà del presente e la varietà della natura, tra l’intelligenza e il costume. Una pittura quella Cormiana dalle nascoste verità, ma non nascoste alle sue risoluzioni artistiche che si fanno mezzo, a chi vuole ascoltare, di preveggenza e di grande bellezza.


Giorgio Falossi

Manrico Testi

Pittura figurativa con prevalenza naturalistica, con molta attenzione per le luci e i colori, il segno sicuro porta l’amore per la natura che volutamente l’artista trasmette nei paesaggi e nelle marine con morbidezza cromatica. Questi successi pittorici si ottengono, oltre che con una padronanza tecnica, con un’esperienza di linguaggio artistico tale da soddisfare le esigenze espressive, in una pittura che si fa impressionista dove ha già trovato una identità, un suo timbro personale e anche una grandezza figurativa.


Manrico Testi

Massimo Baldini

L'uomo della galassia elettronica vive nella dimensione della chiacchiera e del rumore. Il suo e l'altrui parlare è sovente un fatto per lo più palatale, un affastellare chiacchiere impersonali e banali. 'Bavarder – ha scritto Maurice Blanchot – est la honte du langage'. E la chiacchiera è il disonore, la vergogna del linguaggio perché è un parlare puramente palatale, un emettere rumori e non suoni. L'uomo parlante è stato sostituito dall'uomo parlato. In altre parole, il parlare e lo scrivere sono ormai per molti più un fatto che concerne le corde vocali o i muscoli della mano che le sinapsi cerebrali. Di fatto, l'infilare burocraticamente, una dietro l'altra una serie di frasi preconiate, di formule kleenex del tipo usa-e-getta ha solo la parvenza del parlare e dello scrivere, essendo ormai la lingua divenuta un puro involucro vuoto.

Solo poeti e mistici, innamorati e bambini procedono ancora sui sentieri del linguaggio in modo creativo. Essi adoperano le parole in modo ludico e sregolato compiendo funambolici equilibrismi linguistici. In tal modo essi fanno nuove scoperte nel regno delle parole. Infatti, come scrive John Wisdom, le scoperte vengono fatte 'non solo dagli scienziati con i microscopo, ma anche dai poeti, dai profeti e dai pittori'.

I tempi in cui viviamo sono tempi in cui i momenti di silenzio si sono fatti sempre più esigui. La nostra vita quotidiana è una Geena del rumore, una galleria del vento di pettegolezzi e di chiacchiere. L'uomo è divenuto, per dirla con Picard, 'un'appendice del rumore', un mero spazio del rumore.

Ma la parola del poeta deve essere una parola che ha la sua anima nel silenzio. De vigny ha parlato della poesia come di un'art silencieux, Rimbaud si vantava di essere un maître du silence, Mallarmé un musicien du silence, per Claudel, infine, il poeta doveva essere un semeur de silences. Il parlare del poeta, ha scritto Heidegger, è un 'ascoltare il silenzio'. Il poeta non ama le parole che sono simili a delle 'conchiglie morte', ha bisogno di parole nate dal silenzio di parole 'sorvolate di stelle, inondate di mare'. Il poeta è un rabdomante del silenzio. La poesia, ha scritto Picard, 'nasce dal silenzio ed ha nostalgia del silenzio'.

Anche per Concetta Cormio il silenzio ha un potere fascinatorio non comune. Anzi, è di fatto, il leit motiv di molte sue poesie. Talora, essa scrive, 'il silenzio crea / i giochi del cuore', ma il silenzio anche 'raccoglie / il fiore dell'amore'. Essa ama il silenzio che 'diventa parola', il silenzio che 'compone musica eterna' e la sua penna 'raccoglie parole silenziose'.

Se c'è un filo rosso che può collegare, implicitamente o esplicitamente, tutte le sue poesie quel filo rosso è la tematica del silenzio. Joe Bousquet ha affermato che per il poeta lo scrivere equivale a tradurre il libro del silenzio e ciò è proprio ciò che ha cercato di fare Concetta Maria Cormio scrivendo di poesia.


Massimo Baldini

Carlo Franza

Il Temario della poesia di Concetta Maria Cormio vive anzitutto di attenzioni alla realtà e di improvvisi slarghi che paiono quasi pennellature paesaggistiche, come se la natura raccontata con prime sensazioni e vaporosità lasciasse svelare un paesaggio imbevuto di velature trasparenti; ma salda sorge anche l'immediatezza del vivere, l'ansia di vita, la presenza umana costante, la poesia che si fa pensiero, ricordo, colloquio e soliloquio.

La poetessa per metà lombarda e per metà toscana, pur svelando in sordina il suo impegno religioso ('...quando la vita va / al di là della morte / incontra Dio.') contempla non solo il mondo contadino da cui proviene, tanto che la sua voce contempla il sogno rimasto intatto di un'infanzia contadina ('...Ricordo campi assolati / canti di cicale / profumi intensi...'), ma affida alla parola lo stato di grazia, il suo intimo travaglio umano.

Tuttavia, l'amore della vita si riduce talvolta a un soffio, a un respiro musicale, allo stupore di stare al mondo, a un fremito della mente, a una sobria e trasparente emozione che scivola su di lei come una pioggia perpetua, tra ricordi che straziano, tra illusioni e cari fantasmi che lanciano il loro addio alla vita ('...Scrivo con la penna / del passato / ricordi e illusioni...'). Ogni verso è una fuga, una melodia, un'irripetibile grazia malinconica.

Neocrepuscolarismo e neoromanticismo intrecciano versi e parole, giacché la voce poetica qui è permeata da un senso di casta solitudine, di abbandono ai propri fantasmi, di fiducia nell'eterno, di colloqui con i cari tanto che la tensione lirica a volte si misura sul respiro della voce medesima ('...Il mio cuore cerca forza / e la mia penna / raccoglie parole silenziose...'). Le poesie sono anche un diario ininterrotto di avventure, incontri e ricordi pungenti, e ritratti sempre sfuggenti sono volti che nel privato hanno un nome.

Il tono autobiografico scava una verità che traduce l'intima ricerca, da cui non può mai scompaginarsi un senso di ebbrezza, il potente anelito di vita, dove l'estasi lirica è sublimata da un discorso sentimentale pieno e felice.

La poesia di Concetta Maria Cormio ha un timbro accorato di voce forte e distinguibile nei suoni, nelle parole ricorrenti, nel disegno melodico, nelle rime, sì da renderla miusica conclusa, esatta.

Le emozioni derivate dagli incontri e dai ricordi, le tristezze e le gioie, la città e la campagna, l'acerba primavera e gli odori dell'autunno, l'andare in giro, la vertigine delle sensazioni, il legame tessuto fra l'esistere e la gente, le proporzioni fra la natura e il suo io, tutto porta la poetessa a quella strana gioia di vivere, a ciò che la poesia racchiude nel suo respiro. Ecco che il 'profumo dei ricordi' raggruppa sensi e moto umano, arie e motivi dove contabilità e gioco melodico incalzano i versi, portando il sentimento a spogliarsi di surrealità.

La visibilità della parola trova nella poesia di Concetta Maria Cormio una delle feste più ardenti della lirica contemporanea, e il colore e la ripetitività di alcune parole-chiave assegnano al suo canto ardito il volume di una ricca sostanza autobiografica.


Carlo Franza

Padre Luciano Bertazzo

Conosco Concetta Cormio solo per dialoghi telefonici, per le poesie che ha scritto, per i suoi quadri capaci di esprimere spazi inarcantesi in flessuose pennellate. Potrebbe apparire poco coerente che abbia chiesto a me una presentazione a questo suo nuovo testo di poesie. Potrebbe apparire. Ma forse può essere meno ovvio di quanto ci si immagini se ci si pone in ascolto di quanto ci propone, del suo dirsi tramite la poesia. Parole che emergono da un bisogno interiore; parole che costruiscono architetture su domande e percezioni e inquietudini presenti, da sempre, nello spazio dell'anima.

È un pellegrino il poeta. Viandante nel cammino della prosa quotidiano con la capacità di travalicarla nella dimensione dell'oltre poetico. E, come per ognuno, anche nella quotidianità di Concetta c'è il mattino e la sera, c'è la casa, ci sono gli affetti amicali, le domande per i figli, la malinconia e le grandi domande del senso.

È un pellegrino il poeta, che ogni giorno sbocconcella il sapore del silenzio, capace di nutrire la parola. Condizione per dire parole essenziali: 'mi immergo nel silenzio', 'nel silenzio di musica eterna', 'il nuovo giorno sia canto silenzioso'.

È un pellegrino il poeta, che ogni giorno percorre il difficile cammino della complessità, capace, nell'approdo della semplicità, di stupore, di un silenzio abitato da parole feconde. Pellegrino nel tempo, viandante verso l'Eterno: 'possa dissolversi la vita/ e finalmente che io conosca Dio'.

E tutti siamo viandanti. La consapevolezza di esserlo ne fa la differenza: tra un inquieto, amaro vagabondare, e un pellegrinare, accarezzando passo dopo passo 'nostra madre terra' e il suo esistere.

La raccolta che Concetta ci propone si arricchisce di immagini dei suoi quadri. Ci parlano di un immoto silenzio. Ci dicono di uno spazio metafisico. Ci offrono una luminosità che non è solo quella del sole.

Da parte sua è un ridirci, con diverso ma non meno stupito codice espressivo, quello che la parola poetica ha già espresso. Un incontrarsi di linguaggi con l'unica esigenza di dare voce e colore a quanto sta nella bisaccia del viandante.

Dobbiamo essere grati ai poeti perché sono capaci di dare voce a quello che è dentro di noi; perché ci donano parole che, macerate dalla forza del silenzio, maturano nella bellezza.

E in compagnia di esse, meno soli, andare nella prosa della vita.


Padre Luciano Bertazzo

Premio della Cultura e delle Arti di Milano

«Con versi dove la parola si fa sfumatura della realtà e frutto di artigiana sapienza, la Cormio offre ai lettori colti il vero respiro della poesia»
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